Bolzano. La catechesi è un’«arte» e si impara fra le Alpi

Non è necessario impartire un insegnamento etico e morale, ma è indispensabile lasciare intuire in modo diverso, a seconda delle persone che si incontrano, una nuova maniera di vedere il mondo e di situarsi in esso. Diventa urgente nell’annuncio mettere ciascuno nella condizione di sperimentare la propria conversione, la propria scoperta del Regno».

Padre Rinaldo Paganelli, sacerdote dehoniano, catecheta e direttore della rivista Evangelizzare, riassume così uno dei temi emersi dal Corso di Siusi, che si è tenuto nei giorni scorsi a Siusi allo Sciliar (Bolzano). Si tratta della “Scuola nazionale per formatori all’evangelizzazione e alla catechesi” che ormai da trent’anni si svolge nella suggestiva località alpina. Il titolo della sessione di quest’anno era “M’im-Porta”, giocata sul richiamo alla Porta Santa dell’Anno della misericordia.

A innervare gli otto giorni di lavori sono state le relazioni dell’economista Luigino Bruni, «N del teologo don Rinaldo Ottone, di monsignor Paolo Sartor, direttore dell’Ufficio catechistico nazionale della Cei, dell’oncologa Enza Annunziata e dei catecheti suor Giancarla Barbon e padre Rinaldo Paganelli. «Frequentando Gesù di Nazareth – spiega sempre padre Paganelli – si può apprendere che Lui si interessa innanzitutto e prima di tutto alla fede iniziale come unica sorgente di vita.

A tanti uomini e a tante donne incontrati in situazioni di necessità dice: “La tua fede ti ha salvato”. Lui conosce la fatica a credere quando le prospettive della vita sono bloccate e il loro bilancio negativo». Continua il religioso dehoniano: «Per trasmettere la fede in Cristo è necessario varcare la soglia dei pregiudizi e abitare il mondo con santità ospitante.

Questa prospettiva lascia intuire che l’annunciatore è chiamato ad essere semplicemente presente, in modo coerente, gratuito e disinteressato. I gruppi e le comunità ecclesiali se sono abitate da simili presenze generano e costituiscono presenze evangeliche credibili, luoghi concreti, infinitamente sobri, ricchi di ospitalità generose».

Le giornate del Corso sono state scandite da numerosi lavoratori, per lasciare spazio al confronto, alla condivisione di esperienze, per non lasciare che il discorso restasse troppo teorico.

Perché «si scoprono così le presenze del Vangelo nelle infinite varietà dei talenti degli uni e degli altri, e nella socializzazione di questi doni a beneficio di tutti». E se c’è un insegnamento che è emerso da tutto ciò, per padre Paganelli resta questo: «Il Corso ha fatto intuire che ci sono molti ambiti per cercare e intraprendere nuovi cammini e sviluppare iniziative qualitative riempite di mitezza, compassione, misericordia, umiltà. Se non si misura la capacità di essere dono, è più facile aprire la porta del proprio essere perché ognuno possa prendere il bello che c’è.