La scuola nazionale per formatori all’evangelizzazione e alla catechesi ha mantenuto fede al suo compito. Si è dato risposta alla possibilità di una proposta formativa capace di trasformare le modalità di approccio delle persone impegnate nel delicato e impegnativo campo dell’evangelizzazione. Ispirandoci alla porta dell’anno santo abbiamo titolato il corso “M’im-PORTA” (16-24 luglio 2016). Alcuni aspetti sono stati accolti, altri si è provato a modificarli, e altri ancora aspettano di essere rivisitati.
Le persone che sono passate nelle giornate del corso hanno donato tanto: il professor Luigino Bruni economista, don Rinaldo Ottone teologo, mons. Paolo Sartor direttore dell’UCN, la dottoressa Enza Annunziata oncologa e i catecheti suor Giancarla Barbon e p. Rinaldo Paganelli. Modi e presenze molto diverse, ma ricchezze di una chiesa che c’è, e che ha solo bisogno di essere rivisitata, provando ogni giorno a varcare le sue soglie con novità e creatività.
Nel corso delle giornate si è riusciti a non pensare di aver meritato niente, per far spazio alla pura gratuità delle relazioni e del confronto. Subito ci si è resi conto che si può avere un pianeta meno malato, relazioni sociali più sane, ed è possibile evitare che la logica del merito diventi la cultura dell’intera vita sociale.
Si è preso atto che in coloro che si rendono disponibili, Cristo Gesù giunge a “generare” la “fede” nella vita, facendosi garante di quella promessa di bontà e di beatitudine che ogni vita porta in sé. Questo si è provato ad assumere, e allo stesso tempo si è cercato di rendere credibile, perché ciò che si fa e dice siano un tutt’uno con il proprio essere, realizzando un’assoluta unità e trasparenza di pensiero, di parola e azione. I partecipanti hanno fatto propria la convinzione che è importante creare uno spazio di ospitalità e di libertà attorno a sé comunicando con la sola presenza, una prossimità benefica verso tutti quelli che si incontrano. Non è necessario impartire un insegnamento etico e morale, ma è indispensabile lasciare intuire in modo diverso, a seconda delle persone che si incontra, una nuova maniera di vedere il mondo e di situarsi in esso. Diventa urgente nell’annuncio mettere ciascuno nella condizione di sperimentare la propria conversione, la propria scoperta del Regno. Il lavoro nei laboratori e gli apporti dei relatori hanno messo in luce che non è necessario presentarsi come realtà detentrici di un sistema di dogmi da insegnare, ma come spazio in cui le persone trovano la libertà di far uscire fuori la presenza di Dio che già abita le esistenze.
Del resto l’esperienza quotidiano ci insegna che per vivere non c’è altra strada che far credito alla vita, e anche nel cammino di fede va bandita la fretta e la ricerca del risultato immediato. Frequentando Gesù di Nazareth si può apprendere che Lui si interessa innanzitutto e prima di tutto alla fede iniziale come unica sorgente di vita. A tanti uomini e a tante donne incontrati in situazioni di necessità dice: “La tua fede ti ha salvato”. Lui conosce la fatica a credere quando le prospettive della vita sono bloccate e il loro bilancio negativo.
Per trasmettere la fede in Cristo è necessario varcare la soglia dei pregiudizi e abitare il mondo con santità ospitante. Questa prospettiva lascia intuire che l’annunciatore è chiamato ad essere semplicemente presente, in modo coerente, gratuito e disinteressato. I gruppi e le comunità ecclesiali se sono abitate da simili presenze generano e costituiscono presenze evangeliche credibili, luoghi concreti, infinitamente sobri, ricchi di ospitalità generose.
Si scoprono le presenze del Vangelo nelle infinite varietà dei talenti degli uni e degli altri, e nella socializzazione di questi doni a beneficio di tutti. Viene chiesto di lasciarsi liberare, attraverso l’altro, dall’attaccamento alla nostra libertà. La libertà infatti, raggiunge la sua espressione più alta quando l’amore dell’altro la separa da se stesso, la distacca in qualche modo dal suo attaccamento a se stessa per condurla verso la verità, allora l’annuncio si fa libero e vero.
Il corso ha fatto intuire che ci sono molti ambiti per cercare e intraprendere nuovi cammini e sviluppare iniziative qualitative riempite di mitezza, compassione, misericordia, umiltà. Se non si misura la capacità di essere dono, è più facile aprire la porta del proprio essere perché ognuno possa prendere il bello che c’è.