GENOVA, MILANO, VICENZA: INCONTRI CHE FORMANO

GENOVA convegno diocesano

“Caro Silvano,

compagno di viaggio di Paolo e segretario personale di Pietro, ricevo oggi una tua bellissima lettera che parla al mio cuore; ho la sensazione che tu abbia udito il vento dello Spirito quando hai “casualmente” trovato il mio manoscritto “Kata Markon, secondo Marco”.

Mi dici che lo hai letto tutto d’un fiato, che ti brillavano gli occhi, che hai sentito il profumo della pelle di vitello della pergamena e ti è venuta voglia di prendere l’inchiostro e un papiro per dialogare con me.

Mi scrivi parole intense, mi sembra quasi di sentire la tua voce commossa, perché sono parole ricche di spiritualità, di sapienza, di generosità nei miei confronti; parole che trasudano un legame forte, un’amicizia vera, tanta comprensione e a volte perdono; parole che interrogano e mi interrogano; parole che a volte danno risposte a domande che neppure io mi ero posto!

Faccio il primo esempio: ti chiedi perché Pietro, nonostante il fatto che io abitassi a Roma con lui, abbia scelto te, Silvano, come segretario personale. E tu stesso rispondi dicendo che ha scelto te come assistente perché ha voluto me, Marco, come voce risuonante nella Chiesa di tutto quello che Gesù aveva fatto ed insegnato. E poi aggiungi che la mia composizione è geniale, rivoluzionaria, che ho inventato un genere letterario nuovo, perché questo scritto non è una biografia di Gesù, né una cronaca, né una lettera, né un trattato, ma è un racconto, dove la vita e il messaggio di Gesù sono fusi in un unico insegnamento, rivolto alla comunità di Roma per suscitarne la fede. Hai pensato di dare il nome “euanghèlion” a questo mio nuovo stile perché, hai ragione, è veramente un lieto messaggio, non certo perché promette pace e benessere, come reclamizza l’impero romano, ma perché annuncia la buona notizia dell’intervento di un Dio che salva!

Ti ringrazio, non avevo fatto tanti ragionamenti, ma era proprio quello che volevo comunicare e trasmettere!!

Poi mi chiedi che cosa sia successo in Panfilia; ebbene c’è stato un forte dissenso tra Paolo e Barnaba che riguardava proprio me, perché mio cugino, Barnaba appunto, voleva che io andassi con loro nelle comunità che avevano fondato prima di andare ad Antiochia. Ma Paolo non mi riteneva affidabile e ne ha fatto una questione di principio tale, da portare Barnaba a separarsi da lui definitivamente: Paolo è andato a Sila e io sono salpato per Cipro con mio cugino. Paolo e Barnaba avevano posizioni pastorali diverse, ma non di sostanza, tanto è vero che la Parola ha continuato a diffondersi. Io, però, lo riconosco, sono andato in crisi: ho avuto dubbi di fede, incertezze, paure, ma poi è riaffiorata in me la bellezza di una presenza, quella di Gesù che vuole abitare sempre con noi, che vuole fare “comunità”, starci sempre accanto, vuole essere “in casa con noi” (ovvero in comunità, in Chiesa), perché è un amico intimo, familiare, che in casa ci insegna. E così mi sono ripreso e mi sono rimesso in cammino.

Hai ragione, Silvano, quando dici che sono un “interprete” di Pietro, perché riferisco con precisione tutto quello che lui ricordava dei detti e delle azioni compiute dal Signore, ma è anche vero che alla base del mio scritto c’è il “kerigma”, che Paolo ci ha insegnato; ho pensato così di scrivere raccontando gli eventi fondamentali della vita di Gesù: morte e resurrezione. E poi aggiungi che ho fatto un’operazione raffinata, perché ho narrato questi fatti che riguardano Gesù, facendo sempre riferimento alle Scritture, come un‘attualità permanente, ovvero che ho scritto come se Gesù stesse operando adesso, a Roma. E ho scelto di usare il greco per rendere il mio racconto popolare e farmi comprendere da tutti, non utilizzando una grammatica aulica, ma badando, piuttosto, ad avere cura per i particolari e un’attenzione ai sentimenti .

Facendo un’estrema sintesi delle tue annotazioni, potrei dire che ho messo per iscritto il messaggio che Paolo ha ricevuto e ha annunciato alle genti: “…che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è resuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici”.

Certamente parlare di questa esperienza storica e reale comporta parlare di debolezze, parlare di paura, di angoscia e anche questo ho voluto fare, perché è vero che “quando sono debole, è allora che sono forte”. E io ho fatto esperienza della paura da ragazzo, quando stavano per arrestare Gesù: le guardie mi avevano afferrato e sono scappato, non ho seguito Gesù e mi sono ritrovato senza il mio lenzuolo, nudo; era evidente che non ero ancora pronto per indossare la divisa del Maestro, quella del discepolo.

Ecco a questo punto, caro Silvano, leggo che hai qualcosa da rimproverarmi: il finale un po’ brusco.  In effetti, ho iniziato il vangelo inserendo Gesù nella storia della salvezza e indicandolo come compimento di questa; ho raccontato di come Gesù riveli progressivamente il suo ministero e di come lo abbiano rifiutato i farisei, mentre Pietro lo ha riconosciuto come Messia, il Cristo atteso; poi ho fatto un altro passo, raccontando di come il centurione romano sia stato colpito dal modo in cui è spirato Gesù: accogliendo il cammino di sofferenza e di morte vissuto dal Crocefisso, il soldato pagano ha riconosciuto e creduto che Gesù è veramente il Figlio di Dio; infine ho concluso proclamando che Gesù non è nel sepolcro, ma è risorto.

Mi rendo effettivamente conto che alla fine dello scritto permane un senso di incredulità e di paura; forse sono stato un po’ troppo realista, perché sai, seguire Gesù non è sempre facile…

E allora, carissimo fratello, ti chiedo un’immensa cortesia: proseguendo dal versetto 8 del capitolo 16, scrivilo tu il finale, l’epilogo del mio vangelo!

Grazie di tutto Silvano, in Cristo…tuo Marco.”

Più o meno così, Vincenzo Giorgio, esperto di lingue orientali, insegnante di religione ora in pensione, formatore all’evangelizzazione e alla catechesi alla scuola di Siusi( ora con sede ad Asolo), membro dell’equipe dell’Ufficio catechistico di Treviso ha insegnato a noi catechisti un metodo per trasmettere un contenuto, nel nostro caso il vangelo di Marco, che sarà letto nel prossimo anno liturgico. Il registro comunicativo usato da Vincenzo è il racconto, la narrazione, perché le storie sono un vissuto di ciascuno di noi. Per non rischiare l’eccessiva creatività, Vincenzo suggerisce di studiare rigorosamente i testi e stare dentro gli episodi biblici, riempiendo le “pagine bianche” che la stessa Bibbia lascia e nelle quali Dio si infila. Non a caso Vincenzo è partito leggendo un testo biblico, tratto dalla prima lettera di Pietro e ha terminato leggendo l’epilogo del vangelo di Marco. I catechisti, presenti sabato 16 settembre al primo incontro del cammino di formazione “Strada facendo predicate”, sono rimasti affascinati dal modo di raccontare di Vincenzo: sicuramente ha attivato i suoi e i nostri sensi con la voce, a tratti commossa, con le slide, con la musica, con l’ascolto quando abbiamo condiviso le nostre meditazioni.

E’ stata un’esperienza, non una lezione, dove, nel racconto, siamo stati presi dalla Parola di Dio!

Invito tutti ad ascoltarlo o riascoltarlo sul canale YouTube dell’Ufficio Catechistico!

Alberta Sertorio

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Siamo una Scuola nazionale per formatori all’evangelizzazione e alla catechesi, promossa col sostegno dell’Ufficio Catechistico Nazionale.

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